mercoledì 31 agosto 2011

PROVE INVALSI & INSEGNANTI PIÙ SODDISFATTI

di Sergio Fenizia
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 358, giugno 2010, pp. 14-15.

Non sappiamo se a richiamare l’attenzione dei mass media abbia contribuito maggiormente il calcio dell’alunno o il perdono della maestra (48 anni e due figli adolescenti). Comunque, ad ampliare l’eco della notizia dello scolaro di dieci anni di Barra che spappola la milza di un’insegnante, intervenuta per placare una lite scoppiata tra i banchi di una quinta primaria, ha contribuito
anche la cornice dell’evento.

Infatti, quella mattina, era in corso la prova Invalsi d’italiano. Prova che quest’anno per la prima volta ha interessato tutti gli alunni di seconda e quinta primaria,
e tutti quelldi prima media.


La scelta della maestra di perdonare il bambino subito e senza condizioni, si presta a un paio di notazioni. La prima è relativa al retroterra dal quale è scaturita la  decisione di questa donna. Decisione che ne sembra una logica conseguenza, e che è ben espressa dalle parole del marito riportate dal sito http://www.mediterraneonline.it/ :
«Viviamo all’insegna della fede in Dio [...]. Siamo cattolici che vedono nel lavoro una missione e nel perdono uno dei cardini dell’esistenza. [...] Quello che è accaduto deve servire da stimolo a interrogarci sulla nostra società». 

La seconda riguarda l’atteggiamento della maestra alla luce di quanto emerge dalla «Terza indagine dell’istituto Iard sulle condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana», recentemente edita da Il Mulino, a cura di Alessandro Cavalli e Gianluca Argentin. Dal rapporto emerge un’immagine del tutto inaspettata degli insegnanti italiani, i quali, a quanto pare, rispetto al decennio precedente, sono maggiormente soddisfati del proprio lavoro (così dichiara l’82% di 3.000 intervistati).

Inoltre, e qui forse il nesso con la nostra maestra è più diretto, pare che «poter lavorare coi giovani» (con le gioie e i dolori che ne conseguono) sia la prima (63%) motivazione per scegliere questo mestiere. Inoltre, più di 3 insegnanti su 4 dichiarano di aver scelto il loro lavoro per vocazione e non per motivi pratici (garanzia del posto, tempo libero ecc.).

Dunque, il gesto della maestra Maria Marcello può apparire anche come il riflesso di un atteggiamento positivo, di servizio e di dedizione, abbastanza diffuso tra i docenti italiani, i quali malgrado l’inadeguatezza del riconoscimento economico del loro lavoro non rinunciano a tenere alto il livello del proprio senso di responsabilità nei confronti degli alunni, delle famiglie e della società. Tale atteggiamento non si riscontra con altrettanta frequenza in altri ambienti professionali, nei quali invece denaro e prestigio sociale stanno alla base di parecchie scelte.

Quella mattina, la maestra Maria Marcello era impegnata nella somministrazione delle prove Invalsi. L’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione), come noto, è un ente di ricerca soggetto alla vigilanza del MIUR.

Per quanto ci riguarda, gestisce il Sistema Nazionale di Valutazione, che attraverso la rilevazione degli apprendimenti degli studenti e una serie di orientamenti che di volta in volta ne scaturiscono mira a offrire a ogni scuola strumenti conoscitivi e spunti di riflessione per migliorare il proprio lavoro.

Molti insegnanti hanno cominciato a utilizzare le prove somministrate negli anni precedenti come strumenti ulteriori (e ben pensati) per lavorare con i propri alunni. Trovano di grande utilità infatti proporre agli studenti la sfida di affrontare prove strutturate in modo diverso da quelle alle quali forse sono stati abituati durante la maggior parte dell’anno scolastico.

Questo modo di procedere, grazie alla qualità del lavoro che sta dietro all’elaborazione delle prove Invalsi, contribuisce notevolmente ad ampliare (o a focalizzare meglio) lo spettro delle abilità e delle conoscenze in funzione delle quali i docenti possono fare esercitare i propri ragazzi. Gli àmbiti di valutazione sono bene articolati. Alla base di ogni domanda e risposta ci sono logiche «ragionevoli», tra le quali gli alunni sono invitati a scegliere quella (l’unica) pertinente al caso specifico. 

Si tratta ovviamente di strumenti migliorabili. Basti pensare, a titolo di esempio, all’esigenza sottolineata dall’Associazione Italiana Dislessia di tenere adeguatamente conto delle difficoltà specifiche dell’apprendimento che riguardano non pochi alunni. Inoltre, tali strumenti sono collocati all’interno di strategie di politica scolastica che possono risultare ad alcuni non pienamente condivisibili. Ma a noi sembra che lo sforzo di chi ci ha lavorato vada certamente apprezzato.

Ci sentiamo quindi molto distanti dagli insegnanti (pochissimi, in verità) che in qualche scuola romana hanno dichiarato di voler boicottare la somministrazione delle prove. La necessità poi di ricorrere a prove standard per tutto il territorio nazionale rende evidente che certe critiche (per quanto fondate, come quelle di chi quest’anno si è meravigliato che ad alunni meridionali venisse proposto un testo con il termine «useliera», tipico della Valsugana) appaiono pretestuose se si guardano le prove nel loro insieme.

Comunque, l’ampia adesione delle scuole alle prove dell’anno scorso dimostra che molti dirigenti e molti insegnanti stanno acquisendo la consapevolezza che una valutazione esterna degli apprendimenti degli studenti può costituire uno strumento prezioso per il miglioramento del servizio offerto alle famiglie e agli studenti.

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