martedì 1 novembre 2011

LA BARRA DEL TIMONE IN MANO AI GENITORI

di Sergio Fenizia
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 364, dicembre 2010, pp. 14 e 15.

Una buona notizia. Ai genitori nel XXI secolo sarà riconosciuto il diritto di tenere la barra del timone nell’educazione dei propri figli. Aumentano, infatti, i Paesi nei quali il monopolio statale dell’istruzione pubblica sta perdendo quota. Si prospetta, quindi, per le famiglie una stagione di crescente responsabilità e di maggiori opportunità per intervenire da protagonisti nel sistema scolastico pubblico. L’ingiusto timore di fronte all’incertezza di chi (e se! ...e come!) si sarebbe preso cura dei propri pargoli, probabilmente lascerà il posto a una più sana preoccupazione, quella di essere all’altezza di un dialogo reale e costruttivo con i docenti di una scuola scelta liberamente.
Una scuola che sia occasione di crescita della persona, come è stato ricordato nella «Convention Scuola di Diesse» (Pesaro, 23-24 ottobre 2010), e in cui per educare con efficacia non è richiesta una (impossibile) patente di «perfetti genitori» o di «perfetti insegnanti», ma un’alleanza tra scuola (perfettibile) e famiglia (con difetti e limiti, ma con risorse e speranze).

"Un’alleanza che funziona
quando si lavora su una base comune,
conosciuta e condivisa"

Un’alleanza che funziona quando si lavora su una base comune, conosciuta e condivisa. Quando da entrambe le parti sussiste la volontà di rispettare certe gerarchie: per esempio, che i figli/alunni vengono prima di molte altre cose. Prima della nostra comodità, dei nostri progetti professionali, delle nostre vacanze in località più o meno ambite. Prima di tanti altri desideri che la società contemporanea ci induce a considerare bisogni da soddisfare a tutti i costi (compresa la rinuncia alla scuola migliore per i nostri figli). Il rischio di questa trappola, è quello in cui molti insegnanti vedono purtroppo cadere le famiglie di certi alunni. Famiglie nelle quali i coniugi non riescono a venirsi incontro e, pur sapendo che il loro reciproco amore è un diritto dei propri figli ed è uno dei fondamenti del loro equilibrio psico-affettivo, a volte non sanno mettere in secondo piano le proprie esigenze, e sacrificano quelle dei figli. Al contempo, cercano mille strade, mille regali, mille illusori palliativi per rendere meno doloroso ciò che in verità dovrebbero decidersi a non porre in essere. In modo analogo, avviene che si ripieghi su una scuola qualsiasi, purché non comporti (oggi) sacrifici di tempo o di denaro, e poi si cerchi in tutti i modi di limitarne i danni che (domani) verranno a galla.

Ovviamente ci sono anche, e sono la maggioranza, coniugi che invece sacrificano realmente sé stessi per il bene dei figli e per la loro migliore educazione. E questo a volte in presenza di contrasti reciproci anche forti, vissuti però prudentemente lontano dagli occhi dei figli. Figli che in questi casi a scuola appaiono molto più sereni e raggiungono mete molto più alte e solide.

"i figli/alunni vengono prima
di molte altre cose.
Prima della nostra comodità,
dei nostri progetti professionali.
Prima di tanti altri desideri
che la società contemporanea
ci induce a considerare bisogni
da soddisfare a tutti i costi
(compresa la rinuncia
alla scuola migliore per i nostri figli)"

Ebbene, tra i tanti problemi, almeno quello economico si avvia, sia pur lentissimamente, all’estinzione. Infatti, in alcuni dei Paesi all’avanguardia nelle politiche scolastiche tira un vento di libertà e democrazia reale che spinge i governi a varare misure sempre più rispettose del diritto dei genitori a tenere in mano le redini dell’educazione dei propri figli. Una delle ragioni più evidenti del cambiamento di rotta è che strutture elefantiache, con centinaia di migliaia di dipendenti, sono spesso poco economiche, poco efficienti e soprattutto non sempre capaci di quella flessibilità che consente a realtà educative più piccole e ben caratterizzate sul piano dell’identità pedagogica, di rispondere in modo adeguato alle esigenze delle famiglie sul piano organizzativo, culturale, educativo.

Un esempio recentemente illustrato da Il sussidiario.net è quello del Regno Unito, in cui è in atto un consistente Piano di riforma del sistema educativo con interventi dettati, sì, da «esigenze di risparmio in clima di crisi economica (un taglio di 128 milioni di sterline), anche se il vero obiettivo è una politica di liberismo educativo che riduca il coinvolgimento dello Stato» e valorizzi l’innovazione pedagogica e la personalizzazione educativa ad opera di realtà anche e sopratutto non statali. Come scrive Giacomo Zagardo, «esattamente un anno prima del Piano, [l’attuale capo del governo conservatore, David] Cameron aveva anticipato la svolta con queste parole: “Una delle cose più importanti della vostra vita – l’educazione dei vostri figli – è ampiamente fuori dal vostro controllo. La nostra riforma toglierà dalle mani delle Autorità locali [i Comuni, nda] il potere di decidere in merito all’educazione e lo metterà direttamente nelle mani dei genitori. Porremo fine al monopolio governativo sull’educazione scolastica, in modo che ogni organizzazione adeguatamente qualificata possa costruire una nuova scuola, e che ogni genitore insoddisfatto dell’educazione che il proprio figlio sta ricevendo possa mandarlo in un nuovo istituto – sostenuto dal denaro pubblico, inclusi i finanziamenti extra per i figli delle famiglie più povere”».

Anche in Italia qualcosa si muove. Nella prima metà di novembre è stato confermato il finanziamento alle scuole paritarie di 245 milioni, previsto dalla cosiddetta Legge di stabilità (già Legge finanziaria). Un ulteriore passo nella direzione dell’effettività del diritto alla libertà di educazione, anche se molto piccolo rispetto alle attese che la storica Legge n. 62 del 2000 sulla parità scolastica aveva suscitato e, soprattutto, rispetto a quanto sottolinea il mensile Tuttoscuola: «Se le scuole paritarie non esistessero, lo Stato dovrebbe spendere 6 miliardi e 245 milioni all’anno per accogliere il milione e 60 mila studenti attualmente iscritti a scuole non statali. Ma si fa finta di dimenticarlo ogni volta che si stanziano i fondi per la paritaria».

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