giovedì 11 ottobre 2012

EROI NELLA VITA QUOTIDIANA



di Sergio Fenizia
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 385, settembre 2012, pp. 12-13

Ha gareggiato per quelli della sua generazione. La prima italiana che nella storia abbia partecipato a (ben) otto Olimpiadi, con una carriera che vanta un oro, due argenti e due bronzi, per citare solo le medaglie olimpiche, ha dichiarato di «avere partecipato ai Giochi di Londra 2012 anche per i quarantenni e i cinquantenni di oggi».

Soprattutto, per quelli che «si siedono e pensano di non potersi più alzare». Ha voluto dimostrare, con i fatti, che «non è mai troppo tardi per sognare, per mettersi in gioco», e che uno dei segreti per stare bene con sé stessi è quello di «conoscere i propri limiti e cercare di superarli» ogni giorno. «La mia carriera è la mia medaglia. Con i suoi due lati, con le vittorie e con le sconfitte. Anche una sconfitta può essere un successo, se quel risultato è il frutto del mio massimo impegno».

E il 9 agosto scorso lo ha dimostrato al mondo intero. Josefa Idem, 48 anni il 23 settembre, ha gareggiato con atlete molto più giovani, piazzandosi al quinto posto, a soli trenta centesimi dal podio. Era la finale della k1 500 metri (canoa/kayak sprint, per i non addetti ai lavori). Un quinto posto che non le ha minimamente tolto il sorriso. Tanto è vero che, subito dopo la gara, la canoista italotedesca non aveva dubbi: «Sì, la lunga carriera e le numerose medaglie hanno un valore, ma il significato di tutto questo va cercato nell’impegno quotidiano». Un impegno, quindi, che può diventare eroico (e ancor più gioioso) quando porta a farsi carico, con coraggio, anche delle difficoltà che la vita porta con sé, quelle proprie e – quando si può – quelle altrui.

Ci sembra, questa, una bella prospettiva, che all’inizio dell’anno scolastico può ricordare a insegnanti e studenti che l’eroicità può passare dall’applicazione costante agli impegni scolastici. Inoltre, le parole e l’esempio di questa grande atleta, che è anche sposa e madre, possono dare qualche spunto a chi è alla ricerca di modelli da proporre o da imitare.

Nella mente di Sefi, come la chiamano tutti, c’erano soprattutto i suoi coetanei. Ma ha sempre mostrato quanto le stiano a cuore anche i giovani, come tutte le persone lungimiranti. Perché fare le scelte giuste nella formazione dei giovani di oggi significa mettere le premesse affinché siano felici i «meno giovani» di domani. Quelli che si troveranno a combattere con sé stessi per non sedersi, per continuare a impegnarsi in ciò che un giorno avranno scelto. Quelli che si troveranno a doversi reinventare per la propria famiglia, per il lavoro, per gli impegni sociali. A conciliare tutto questo con le «proprie olimpiadi», come ha fatto Sefi per oltre trent’anni.

Durante gli anni scolastici, la qualità dell’applicazione quotidiana ai propri doveri, l’educazione seria del carattere, dell’affettività e dell’intelligenza, giorno dopo giorno, anno dopo anno, sono fondamenta necessarie. E se l’ambiente scolastico in cui ci si muove risponde a un vero progetto educativo, se non è lasciato al caso o affidato alla semplice buona volontà dei docenti, allora le probabilità di buoni risultati formativi saranno alte.

I cinquantenni di domani sono gli studenti di oggi, che hanno tra i 3 e i 19 anni. Che hanno famiglie a volte fragili alle spalle. Che desiderano essere felici, ma forse ancora non sanno che bisogna essere disposti a sudare, con un sorriso, a 48 anni, su una canoa, sapendo riconoscere senza drammi che «l’avversaria è stata più forte» e che, come ha dichiarato Sefi, questa volta, «chi ha vinto il bronzo, evidentemente, ha curato i dettagli meglio di me».

I dettagli. È la cura dei dettagli, ogni giorno, che procura una soddisfazione di spessore. Salire sul podio dà una forte emozione, ma i giovani, atleti o studenti, vanno preparati soprattutto a gustare il piacere di avere impiegato al meglio le proprie qualità.

Qualunque sia l’esito della competizione, sportiva o scolastica, si potrà sempre avere il sano orgoglio di avere lottato, conoscendo i propri limiti e cercando di superarli, o di conviverci nel modo migliore.
In questo senso, si possono educare gli alunni a non mollare, finché non si è raggiunta la meta (ragionevole) che ci si era prefissi. Sarà compito di ogni insegnante aiutare ciascun alunno ad avere obiettivi ambiziosi, ma realistici. A volersi migliorare più che a voler primeggiare. Liberandosi dal peso di aspettative fuori misura, che quasi sempre sono indotte dall’esterno. Aspettative che giungono a snaturare la relazione educativa, quasi come avviene nello sport quando è inquinato dalla piaga del doping.

Quando un genitore coltiva aspettative non adeguate, e si adopera in modo a volte ossessivo per far crescere le valutazioni scolastiche dei propri figli, espone questi ultimi (e sé stesso) al rischio di profonde delusioni. È l’effetto dell’inversione dei termini in gioco. Infatti a crescere dev’essere il figlio. Le valutazioni saranno la conseguenza (e la riprova).

Londra 2012. Famiglia al completo
Ma torniamo a Sefi. Abbiamo apprezzato le parole di Arianna Ravelli sul Corriere della Sera, «c’è un’immagine che dice tutto. La guardi andarsene dal bacino di Eton di spalle e pensi che non c’è bisogno di una medaglia al collo per una bella storia. Josefa Idem se ne va dall’Olimpiade e dallo sport italiano […] abbracciata a suo marito Guglielmo Guerrini e ai figli […] ed è un bellissimo modo di andarsene, dopo qualche lacrima e […] la consapevolezza di aver lasciato un segno. […] Essere donne di 48 anni, essere madri, mogli, campionesse si può e senza violenze. Non cercando di fermare il tempo, ma riempiendolo ogni minuto di qualcosa di prezioso».

Le medaglie olimpiche, come i voti scolastici, non sono un assoluto. Sefi l’ha capito e forse per questo il suo modo di affrontare lo sport risulta affascinante e può davvero «ispirare una generazione» – secondo lo slogan coniato dagli organizzatori dei Giochi di Londra –, una generazione di atleti e di studenti, di insegnanti e di genitori.

3 commenti:

  1. Un bellissimo post, che condivido in pieno!
    E' proprio la perseveranza la strategia giusta, spero sempre in un'inversione di tendenza nella nostra società frettolosa e utilitaristica, dove queste "strategie" sembrano essere dimenticate, con l'esito nefasto di barcamenarsi tra successi effimeri e crescere persone senza spina dorsale.

    RispondiElimina
  2. Sì, è proprio una bella storia. Che racconta di tenacia, di sfida bella, di tensione in alto anche quando l'alto è 'solo' un quinto posto (a 48 anni!).
    Josefa dice a noi quarantenni e ai nostri figli che per essere aquile vere bisogna spiccare il volo ogni giorno dal cortile delle proprie piccolezze, vivere ad 'alta quota', ricordarsi che vale poco razzolare nel cortile se siamo fatti per guardare in faccia le stelle.
    Ben ritrovato Sergio. Maria Rita

    RispondiElimina
  3. Ciao, Monica.
    Grazie. Condivido certamente la sottolineatura relativa all'abbaglio dei "successi effimeri".


    Ciao, Maria Rita.
    E’ vero, è proprio una bella storia. Penso di non sbagliarmi nel prevedere che Josefa Idem abbia ancora molto da insegnare (e non mi dispiacerebbe contribuire a farle eco).

    RispondiElimina

Grazie del commento. Sarà pubblicato appena possibile.