giovedì 1 novembre 2012

PROFESSIONALITÀ FUORI CONCORSO



di Sergio Fenizia
Fonte: Giuntiscuola.it
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 386, ottobre 2012, pp. 14-15

Il mondo della scuola italiana è in fibrillazione. E con esso non poche famiglie, nelle quali si respira il «dramma» di qualche parente alle prese con le conseguenze di una politica scolastica che ha tenuto sulla graticola decine di migliaia di precari e che ha impedito ad altrettanti giovani, aspiranti insegnanti, laureatisi negli ultimi dieci anni, anche solo di poter essere messi alla prova.

Il prossimo 7 novembre scadranno i termini per la presentazione della domanda (per la prima volta esclusivamente online) di partecipazione al concorso più atteso. Concorso per titoli ed esami, su base regionale e per cattedre reali in scuole statali di ogni ordine e grado. Il primo dopo dodici anni! Oltre un decennio in cui schiere di giovani laureati si sono viste negare la possibilità non solo di accedere a una cattedra nella scuola statale, ma addirittura di ottenere l’abilitazione all’insegnamento. Se non altro, però, a costoro è stata risparmiata l’illusione dell’assunzione certa in forza della semplice abilitazione. 

Illusione che ha prodotto non poche tensioni, anche sociali. Evidentemente l’Italia sta uscendo dalla trappola che finora ha legato cattedra (nella scuola statale) e abilitazione all’insegnamento (nel sistema pubblico d’istruzione).

Non sono mancate le voci contrarie, come quella della Gilda degli Insegnanti, che ha deciso di impugnare il bando di concorso ritenendo di avervi riscontrato violazioni di legge come la riduzione a due anni della durata delle graduatorie (contro i tre previsti dalla normativa vigente) e l’obbligatorietà della prova di inglese per la scuola primaria. Inoltre, più di qualche precario ha manifestato il proprio dissenso in relazione allo svolgimento stesso del concorso, reputando che non sia giusto né legale essere sottoposti al rischio di vedersi scavalcare da colleghi, sia pure più preparati, ma con un’esperienza di lavoro meno lunga.

Tale prospettiva, seppur comprensibile, è però il riflesso di una visione che privilegia l’anzianità di servizio rispetto ad altri criteri ritenuti oggi più rilevanti per una scuola di qualità, come per esempio la verifica dell’effettiva professionalità, che dall’anzianità non è esclusa, ma nemmeno garantita. Infatti, l’esperienza insegna come non sia scontato che un «precario storico» possegga un «sicuro dominio dei contenuti delle discipline di insegnamento» o una conoscenza critica delle stesse «e dei loro fondamenti epistemologici per poter individuare gli itinerari più idonei per una efficace mediazione didattica, impostare e seguire una coerente organizzazione del lavoro, adottare opportuni strumenti di verifica dell’apprendimento, di valutazione degli alunni e di miglioramento continuo dei percorsi messi in atto», come previsto dai programmi d’esame. In verità, ciò non è scontato nemmeno in chi la cattedra l’ha già conquistata, come induce a ritenere il buon senso.

Interessanti sono al proposito le riflessioni di Giuseppe Bertagna pubblicate dal sito Il Sussidiario.net: «È impossibile che tra le centinaia di migliaia di persone e di situazioni, dalle Alpi al Lilibeo, che devono esecutivamente “applicare le norme concorsuali” allo stesso modo in ambienti tra loro molto diversi non affiorino smagliature censurabili e palesi difformità di trattamento».

È da tempo che la pedagogia suggerisce di colle gare la formazione iniziale, la selezione e il reclutamento di docenti a una sinergia tra università e scuole e che «le scienze dell’educazione», continua Bertagna, «ribadiscono che non si può ridurre la professionalità del docente né alla pur necessaria padronanza delle conoscenze disciplinari né, ancor meno, alla bravura con cui svolgere un tema o, peggio, rispondere in 50 minuti a 50 quiz […]. La professionalità docente deve misurarsi, da un lato, sulla combinazione di conoscenze disciplinari e competenze pedagogico- didattiche e relazionali per affrontare “casi” e, dall’altro lato, sulla reale dimostrazione di insegnare bene, agendo in situazione […], dimostrando di saperci riflettere sopra con adeguati strumenti critici intersoggettivamente controllabili.

Che poi, tradotto, significa: abilitazione all’insegnamento ottenuta in specifici percorsi di laurea che coinvolgono insieme le università e le scuole; selezione e reclutamento degli abilitati condotta poi attraverso procedure di scuola o di reti di scuole territoriali, coinvolgendo anche competenze universitarie». E cita il disegno di legge Aprea e l’iniziativa legislativa della Regione Lombardia in tema di reclutamento, ai quali noi aggiungiamo la proposta (molto criticata dal Dipartimento Scuola dell’IdV) dell’onorevole Letizia De Torre (Pd), «Dare ali alla scuola in Italia», presentata il 3 luglio scorso in una conferenza stampa svoltasi alla Camera, che vedrebbe, tra le altre novità, dirigenti designati dai «consigli delle autonomie scolastiche» e docenti assunti con concorsi banditi da reti di scuole.

Una proposta per certi versi non lontana da quella che il 29 agosto scorso è stata avanzata dalla Compagnia delle Opere: come strumento, il «concorso ha dimostrato, nella storia, di non essere quello più efficace» e pertanto «nel mediolungo periodo è necessario riformare in profondità il nostro sistema di reclutamento […]: è sempre più urgente che lo statalismo e il centralismo cedano il passo all’autonomia e alla responsabilità di altri soggetti più vicini e attenti alle esigenze dei cittadini, permettendo agli istituti scolastici, anche collegati in rete, maggiore libertà di scelta e di selezione dei loro docenti; allo stesso modo è indispensabile un ripensamento dello status giuridico degli insegnanti, che non devono più essere considerati come dei funzionari/ burocrati statali ma come maestri e liberi professionisti, valorizzandone impegno, merito e passione. Occorre passare da una visione di uniformità e di (inefficace e inefficiente) dirigismo statale a una di differenziazione e di libertà».

Parole che condividiamo.

4 commenti:

  1. Ciao Sergio, il tema è vasto e quanto mai 'scottante'. Io non farò quasto concorso, la classe in cui insegno (st. dell'arte, la A061 per storici) non è uscita su tutto il territorio nazionale (il Bel Paese!), va così ma tant'è! E in ogni caso ci ho riflettuto non poco sul farlo nelle altre classi di concorso, sarebbe (come per latino) ricominciare da zero per quanto riguarda didattica (eh... quanti problemi mi pongo)! Su questo percorso di reclutamento ho i miei dubbi e perplessità, ha delle falle enormi nella modalità che non riesco a colmare nemmeno se mi sforzo per logica... perché di logica ce n'è poca davvero, magari solo nei test!
    1. Se si volevano 'sistemare' i precari storici potevano cominciare con lo scorrere le graduatorie, c'è gente che insegna da anni, è formata, si forma regolarmente e regolarmente sta in classe tutti gli anni da precaria!
    2. Se si voleva svecchiare la classe docente non ha assolutamente senso un concorso dove può partecipare il laureato dal 1999 IN GIU', ergo tutti quelli non proprio giovanissimi!!! In questo senso sarebbe stato più logico che partecipassero tutti quelli laureati DAL 1999 IN SU! E menomale per la clausola su i titolari di ruolo! Intanto conosco molti miei colleghi di università che non hanno mai fatto un giorno di cattedra, che non hanno mai fatto un aggiornamento, che hanno desistito con la scuola buttandosi in altri lavori, ma che in questo momento di crisi, pensando bene che forse il concorso può essere un buon giro da prendere al volo, faranno il concorso e non sanno cosa sia un'aula. Magari sarebbero in gamba con la logica; studiacchiando se la caverebbero anche e supererebbero il concorso preparandosi ad hoc una sola, dicasi una, unità didattica per l'orale del terzo step, ma non conoscono (nemmeno da lontano) quel mondo complesso e problematico di un adolescente che ti chiede di insegnargli a vivere! Che non sanno collegare il sapere alla Vita, perchè non avendo mai avuto a che fare con ragazzini non l'hanno mai fatto o non si sono mai nemmeno posto il problema. Il colmo è che sento molti colleghi che, stufi, il concorso non lo faranno e molti che non insegnano neppure, che sicuramente ci proveranno come minimo!
    E' paradossale!!! E il concorso vorrebbe una classe docente GIOVANE E FORMATA!!!
    Avrei concepito un concorso dove sarebbe stato logico mettere alla prova il docente sul sapere, sulla didattica e soprattutto 'sulla capacità d'aula'! Quando ci si incontra nelle ore libere con i colleghi in sala professori non manca di provare sul web le mortificanti prove di logica, atte non a provare la tua logica bensì a farti fuori se non rispondi di getto perchè ci stai pensando! E dovrebbero queste misurare quanto sono in gamba a fare il mio lavoro? Dovrebbero forse dirmi quanto sono stupida o intelligente. Ma quando sono in classe con Silvia che non cammina e se io dico ai ragazzi che 'forza, da domani si corre col programma', piange solo al pensiero che correre lei non lo può fare, e ho usato solo una metafora? Cosa devo fare me lo dice il test di logica, dove invece devo beccare la risposta giusta alla domanda su quale gradino si trova il commesso di un negozio alla fine di salirne 9, scenderne 2, risalirne 4 ect. etc... in appena qualche secondo per pensarci e far di conto? Lo so, è il sistema. Ma questo non è un lavoro come altri, banca, amministrazione, gestione d'impresa... questa è Vita. Un docente ha a che fare con la Vita e soprattutto con quella degli altri, più piccoli, più deboli perchè si affidano ad adulti, che se sono in gamba a farli crescere 'in sapienza, età e grazia'... non glielo dice un concorso, tantomeno come questo!
    Speriamo bene, ti abbraccio: Maria Rita

    RispondiElimina
  2. Ciao Sergio, continuo a rileggere questo post e condivido tante delle cose scritte. Posso aggiungere che sono davvero stanca di star dietro a questo sistema, mi sento sempre più stritolata dagli ingranaggi della burocrazia, senza nemmeno intravedere una garanzia, non credo che l'attuale sistema di reclutamento sia funzionale, ma riconosco la difficoltà di individuarne uno che tenga conto di tutte le variabili. Tuttavia, difficile non significa impossibile e mi sembra che la gente che dovrebbe lavorarci su sia anche ben pagata per farlo...

    RispondiElimina
  3. @ Maria Rita:

    Ciao, Maria Rita. Grazie per il corposo commento. Tu scrivi: "Un docente ha a che fare con la Vita e soprattutto con quella degli altri, più piccoli, più deboli perché si affidano ad adulti, che se sono in gamba a farli crescere 'in sapienza, età e grazia'... non glielo dice un concorso, tantomeno come questo!"
    Penso che tu abbia ragione. Forse, a questo punto, non resta che prenderne atto. I criteri scelti per la selezione rendono manifeste le priorità di chi ha il compito di orientare il futuro della scuola statale.
    La difficoltà principale deriva, a mio parere, dal fatto che si educa con la vita, e che non è facile individuare un sistema (uniforme per tutto il Paese) per valutare sotto questo profilo la capacità dei futuri docenti.
    A me sembra che la soluzione vada cercata nella linea del progressivo ridimensionamento dell'attuale statalismo, riducendo all'essenziale i controlli e lasciando maggiore spazio a realtà che siano espressione della società civile. Queste realtà sono certamente interessate ad affidare i loro giovani ad insegnanti che utilizzino le proprie competenze disciplinari come strumento per raggiungere il principale obiettivo dell'educazione scolastica.

    @ Monica:

    Ciao, Monica. Grazie.
    Penso che ci si senta "stritolati" quando si desidera dare di più, in termini qualitativi, rispetto a ciò che il datore di lavoro sembra pretendere. Quando "la struttura" sembra costringere ad un mero addestramento dei giovani, e invece si desidera educarli davvero.
    Anche qui, la soluzione che vedo percorribile è nella linea dell'avvicinamento della scuola alle realtà sociali che siano espressione di interessi condivisi da gruppi di famiglie, che sarebbero le prime interessate a liberare i docenti da lacci e controlli non strettamente necessari ad assicurare un buon lavoro educativo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Condivido in pieno questa tua risposta...arrivata tra l'altro nel momento giusto con le parole giuste: hai espresso esattamente come mi sento oggi, dopo aver toccato con mano il fallimento di una scuola burocrate di fronte a ragazzi bisognosi di un vero educatore, capace di andare fuori schema se necessario, ma sempre rivolto al loro bene, unico motore del suo agire.

      Elimina

Grazie del commento. Sarà pubblicato appena possibile.