Fonte: Fogli, n.387, 2012 |
di Sergio Fenizia
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 387, novembre 2012, pp. 8-9
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 387, novembre 2012, pp. 8-9
Quando il mese scorso, su queste pagine, scrivevamo che il
mondo della scuola italiana era in fibrillazione per le speranze accese dal
Concorso tanto atteso e per le polemiche a esso connesse (con relativi ricorsi
che potrebbero bloccarlo), non potevamo immaginare che nelle settimane
successive il clima sarebbe diventato a dir poco rovente.
Di positivo si è registrato un impegno di riflessione, prima che di lotta, da parte di numerosi gruppi di insegnanti che in tutta Italia si sono adoperati per offrire all’opinione pubblica una più profonda cognizione di alcuni aspetti del proprio lavoro e un’adeguata consapevolezza delle conseguenze che sarebbero derivate per il Paese dall’aumento delle ore di lezione frontale settimanali (da 18 a 24) per i docenti di scuola secondaria, di primo e di secondo grado. La forza e l’unanimità con cui la voce dei docenti si è levata, ha indotto – per ora – il Governo a rivedere la bozza del disegno di Legge di Stabilità approvata il 9 ottobre (in particolare l’art. 3, commi dal 29 al 48).
Come ha spiegato uno di loro, Nicola Fusco, sul sito Orizzontescuola.it,
quando si pensa al lavoro in aula dei docenti, pochi riflettono sul fatto che
«le ore passate a scuola per un insegnante sono ore di lavoro effettive, cioè
al 100%». Un po’ come avviene in una partita di calcio di 90 minuti, nella
quale «il tempo in cui effettivamente la palla è stata in gioco […] è inferiore
a 60 minuti». «Le 3, 4, 5 ore che un insegnante passa al mattino a scuola sono
interamente di lavoro, dal primo all’ultimo minuto». Un lavoro, tra l’altro,
che richiede un’attenzione mentale più costante e più alta rispetto ad altre
professioni intellettuali nelle quali, per la loro diversa natura, il tempo
effettivo di «reale e intera concentrazione» è alternato a momenti di pausa
fisica o mentale.
Inoltre, quantitativamente, la differenza tra il lavoro di
un insegnante e quello di altri dipendenti di pari livello è minore di quanto
comunemente si pensi. In base al dettagliato calcolo che ne offre Fusco, il
totale delle ore di lavoro di un insegnante di scuola secondaria in un anno
sarebbe circa 1.657. Tali ore sono distribuite su un arco temporale di circa
42-43 settimane, mentre di solito «un lavoratore dipendente con un lavoro
professionale /intellettuale svolge 8 ore di lavoro al giorno per 5 giorni alla
settimana per 46 settimane di lavoro all’anno, quindi lavora 1.840 ore
all’anno». Se i calcoli sono esatti, un insegnante lavora «183 ore in meno
all’anno», da considerare però alla luce di ciò che Fusco sottolinea in
relazione al cosiddetto «tempo effettivo».
Un’altra riflessione da segnalare, tra le tante, è quella contenuta
nell’interessante documento sottoscritto il 18 ottobre dai docenti
dell’Istituto Eleonora Pimentel Fonseca di Napoli: «In Italia si cerca di
equiparare la professione docente a un qualunque lavoro impiegatizio, in cui la
quantità delle ore vale di più della qualità del lavoro svolto, qualità che si
basa anche sul rapporto emotivo-relazionale con gli studenti in età
adolescenziale e che richiede una preparazione, una disponibilità personale,
una capacità di ascolto e di reazione a problematiche complesse, che va molto
al di là dell’insegnamento delle singole discipline». Più avanti si legge che
«al carico di lavoro vanno aggiunte le ore impiegate per preparare le
programmazioni, per aggiornarsi, […] per elaborare criteri sempre più oggettivi
e attendibili di valutazione». Inoltre, si ricorda il «tempo dedicato alle
diverse difficoltà cognitive, di apprendimento, relazionali di ogni singolo
studente».
Infine, si deve sottolineare che per una corretta lettura dei
dati (per esempio delle stime Eurydice) e una giusta comprensione delle
differenze contrattuali tra insegnanti di diversi Paesi occorre tener presente
che all’interno dell’orario formale solo in alcuni casi viene computato anche
il tempo previsto per la preparazione e la correzione degli elaborati, delle
riunioni ecc., o che a volte le unità orarie sono di 50 o 45 minuti invece che
di 60.
Non va dimenticato, comunque, che il nucleo dell’attività docente
resta la relazione con gli alunni in presenza, con ciò che essa comporta.
L’essere costantemente sotto pressione, il vigilare continuamente sul
comportamento di minori che presentano carenze anche educative, a volte gravi,
che rendono il lavoro ben più difficile (e necessario) che in passato.
L’essere costantemente motivante e coinvolgente per ciascuno
degli alunni, durante ciascuna delle 18 ore di lezione. Il dovere aiutare le
famiglie, che sono sempre meno stabili e sempre meno consapevoli del proprio
ruolo educativo. Questo, che è sfiancante fisicamente e mentalmente, richiede
oltretutto adeguate pause all’interno della giornata, della settimana, del
mese, dell’anno. I due mesi di pausa estiva, per esempio, costituiscono più una
necessità che un privilegio.
In periodi di grave crisi economica, comunque, non si può
escludere a priori che agli insegnanti possa essere chiesto un ulteriore
sacrificio. In una tale evenienza, quelli di loro che ritengono di avere sempre
lavorato con impegno, potranno certamente scoprire ulteriori margini di
miglioramento, come sempre avviene in tali frangenti. Ma se il sacrificio
dovesse superare un certo limite, pazienza. Bisognerà forse accettare di
esercitare la propria amata professione in condizioni che ne diminuiranno
l’efficacia.
Infatti, poiché le energie lavorative dei
singoli professori non potranno aumentare con un colpo di bacchetta magica, la
conseguenza verosimile sarà che occorrerà dedicarne di meno a qualche àmbito del
proprio lavoro. Forse ci si vedrà costretti a preparare in un tempo più ridotto
le lezioni, le riunioni, i colloqui con i genitori, gli interventi con gli
alunni. Ma se anche le energie da investire nella relazione educativa – il cuore
dell’attività docente – saranno più scarse, si darà tutto ciò che si ha e,
soprattutto, si continuerà a dare ciò che si è, come da sempre hanno fatto (e fanno)
i veri educatori, ancora prima che esistesse la scuola.
Purtroppo, quando si mette mano alla scuola si pensa solo alla quantità e non alla qualità. Sarebbe stato diverso e più intelligente se di queste 24 ore avessero deciso di lasciarne 18 di lezione frontale e il resto dedicate ad un sano aggiornamento per gli insegnanti. Come dici tu, il centro dell'attività di un insegnante è la relazione con gli alunni e in questo non si può essere approssimativi.
RispondiEliminaGrazie del commento, Monica.
RispondiEliminaUn collega che recentemente è stato in Spagna, mi ha riferito che in alcune scuole non statali che ha visitato i colleghi svolgono quasi tutto il loro lavoro a scuola, anche le attività di preparazione e correzione di compiti e verifiche, di aggiornamento e di studio, ecc. Escono di scuola alle ore 17:00 circa. Nessuno quindi può accusarli di dedicare poco tempo alla loro professione.
Devo dire, però, che a me non piacerebbe molto. Preferisco essere un po' più libero nell'organizzazione del lavoro e sorbirmi tutte le sciocchezze che vengono scritte o dette su noi insegnanti (e cercarle di confutarle!).
Chiedo scusa per il refuso. Volevo scrivere "cercare" (di confutarle!).
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