domenica 19 maggio 2013

PINO PUGLISI, IL CORAGGIO DI INSEGNARE



di Sergio Fenizia

Pubblicato sul mensile Fogli, n. 392, aprile 2013, pp. 8-9



Il coraggio. Ecco un tratto peculiare del carattere di don Pino Puglisi. Non la temerarietà, perché la paura lui la conosceva.

Tale coraggio si manifestava innanzitutto nella fedeltà al Magistero della Chiesa cattolica, in un contesto sociale e culturale che spingeva in altra direzione. Infatti, nonostante le radici profondamente cristiane, anche nella società siciliana degli ultimi vent’anni del secolo scorso era necessaria una tempra notevole per resistere alle seduzioni di una fede «fai da te». Una fede che oggi si direbbe «adulta», nel senso deteriore del termine che allude all’atteggiamento di chi non dà ascolto alla Chiesa, scegliendo in modo autonomo ciò in cui vuole credere.


Ma don Pino, la cui solenne beatificazione avrà luogo il 25 maggio prossimo, al Foro Italiaco (Palermo) [e non allo stadio Renzo Barbera, come era previsto], alla presenza di decine di migliaia di fedeli, non perdeva tempo a criticare atteggiamenti che non condivideva. Preferiva impiegarlo per fare il bene, senza fronzoli e lontano dai riflettori.
Di fronte al presunto «coraggio» di chi attaccava gli insegnamenti perenni della Chiesa, lui sorrideva compassionevole, consapevole che per tali attacchi non ci voleva un gran «coraggio», visto che si poteva contare sul sicuro applauso del pubblico, e sull’eco della maggior parte dei mass media.

La «fede adulta» che piaceva a don Pino era quella predicata da san Paolo, che contraddice gli schemi del mondo e che si esprime nel non-conformismo, nel non correre in modo infantile dietro alle mode del tempo.


Tutto ciò si rifletteva anche nel suo ruolo di professore. Aveva iniziato a insegnare in un istituto professionale nel 1962. Dopo una lunga parentesi alle scuole medie, era poi tornato alle superiori. Nel 1978 era approdato al prestigioso liceo classico Vittorio Emanuele II, dove lavorò fino al 15 settembre 1993, quando venne ucciso sotto casa, nel giorno del suo compleanno.


Le sue lezioni di religione manifestavano coraggio perché erano lezioni. Perché erano di religione. Perché erano di religione cattolica. In quegli anni, infatti, non era scontato che nell’ora di religione si facesse davvero lezione. Era più facile che si svolgessero dei «confronti», meno impegnativi per docenti e discenti. Non era infrequente che, in barba al programma, si discettasse di temi che nulla avevano a che fare con la formazione prevista (e con quella che i genitori si aspettavano che i loro figli ricevessero).


Con tono pacato, non si limitava ad animare dibattiti in aula. Insegnava. Insegnava in base a quanto previsto dal suo contratto di lavoro: docente di religione cattolica. E nessuno si sentiva offeso per questo, nemmeno gli eventuali studenti non praticanti, perché lui, da buon prete cattolico qual era, con le braccia aperte a tutti, non imponeva la verità, la mostrava.


Questa professionalità, vissuta controcorrente, con fatica, ma con gioia, era innervata da uno spirito apostolico che lo portava anche ad accettare, con obbediente docilità, incarichi pastorali come quello di parroco della chiesa di San Gaetano, a Brancaccio, nel settembre del 1990, o quello di direttore spirituale del corso propedeutico presso il seminario arcivescovile di Palermo, nell’ottobre del 1992. Che cosa non avrebbe fatto per trasmettere, soprattutto ai giovani, quel suo amore per il Signore e per il celibato sacerdotale...


Lo stesso amore per Cristo e per la Chiesa, che lo spingeva a essere nelle aule e nei corridoi del suo liceo un testimone credibile tra studenti e colleghi, lo spronava a dare prova di coerenza cristiana anche tra le famiglie della sua parrocchia.


Tra le famiglie solide – la maggior parte – e tra quelle che con difficoltà cercavano di affrancarsi dalle lusinghe (o dal giogo) di organizzazioni criminali, che lui non temeva, ma da cui era invece temuto. Non per nulla, a differenza di quanti parlavano e scrivevano di cose inutili (ma alla moda e «redditizie»), l’ormai prossimo beato Pino Puglisi ha conquistato la palma del martirio con la propria fedeltà, con la propria serietà, con il proprio carattere forte.


A conferma di quanto scritto, ecco un’inedita testimonianza, a oltre vent’anni di distanza. Guido Vassallo, laureato in lettere classiche, un master in sceneggiatura, e un’originale attività di «Wedding novels» da lui ideata, ricorda: «Ha insegnato religione nella mia classe quando frequentavo il quarto ginnasio. Era puntuale e preparava le lezioni. Vestiva da sacerdote, con il clergyman, che indossava con molto decoro».


Per quanto riguarda la didattica, l’ex alunno precisa che don Pino Puglisi «insegnava proprio religione cattolica. Ci fece comprare un libro di religione che parlava della fede con una impostazione culturale. Ricordo ancora alcune lezioni sulla storia del popolo di Israele e su pagine storiche dell’Antico Testamento».


Quanto all’atteggiamento degli studenti nei sui confronti, «pur avendo un carattere mite era rispettato e ascoltato dai miei compagni. Invece, i professori di religione che abbiamo avuto negli anni successivi, che sembravano più “giovanili” e che potevano apparire vicini al mondo degli adolescenti, in realtà non venivano presi in altrettanta considerazione da noi studenti».


Si interessava anche dell’anima dei suoi alunni, infatti, «quell’anno con la scuola seguimmo una preparazione alla Pasqua dal taglio molto spirituale e durante l’attività mi colpì particolarmente il raccoglimento con cui padre Puglisi celebrò la santa Messa».


Infine, «parlava poco di sé ed era molto discreto. Non raccontava cose – almeno io non le ricordo – delle sue attività esterne alla scuola. Proprio per questo, forse, per noi fu molto scioccante la notizia della sua uccisione». Una notizia che ha risvegliato la consapevolezza che la criminalità organizzata, ancora prima che con le leggi dello Stato, va combattuta con la legge dell’amore. Una legge che alimenta una logica virtuosa, che lungi dal pretendere l’eroismo dagli altri, porta a offrire sé stessi per la società, per gli amici… e per i nemici.

6 commenti:

  1. Il suo stile semplice, essenziale, autentico ne fanno un vero santo dei nostri tempi! Il suo non era l'eroismo da romanzo, ma una fede convinta e una vera passione per l'uomo, che hanno saputo creare uno spiraglio da cui far entrare la luce di Dio.

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  2. Hai ragione, Monica: un eroismo non "da romanzo", ma - aggiungo - da persona normale. Un eroismo quindi imitabile da ciascuno di noi, soprattutto nella sua dimensione di fedeltà ai perenni insegnamenti della Chiesa.

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  3. Ciao Sergio, una bella pagina di ricordi. Perché lo ricordo bene il giorno in cui fu ucciso don Puglisi, nell'ambito delle associazioni era molto conosciuto e apprezzato per l'impegno sul territorio. Il confronto (benché sia morto in circostanze diverse, ma non meno tragiche) era sempre con don Tonino Bello. Stessa età, stessa formazione, stesso amore per gli ultimi, stesso anno di morte. Io sono salentina... e sono cresciuta con la presenza di quest'ultimo, le definivamo 'vite da carico eccezionale' (gli 'eroi' che ci mostravano la strada, com'erano stati per altri versi Falcone e Borsellino)!
    E quando tu dici 'normale' dici vero: in fin dei conti è nella normalità che hanno vissuto, insegnato. La loro straordinarietà è stata essere straordinari nell'ordinario, quell'ordinario che ci sembra eccezionale perché non fa parte più di noi.
    Un abbraccio: Maria Rita

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    1. Sì, Maria Rita. L'essere “straordinari nell'ordinario” per don Puglisi consisteva nell'obbedire al suo Vescovo, nel celebrare con raccoglimento la Santa Messa, nel coltivare con pazienza la vita interiore propria e quella dei giovani (e meno giovani) che orientava spiritualmente e che aiutava nel discernimento della propria vocazione, ecc. In sintesi era un prete che faceva il prete. Questa è stata la sua grandezza.

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  4. Buongiorno prof. Fenizia, dopo tanto tempo La leggo con piacere su Google+, specialmente su un argomento così importante.
    Concordo in pieno: la straordinarietà sta nel saper camminare senza farsi distrarre dalle "sirene", ma confidando nella certezza della Verità.
    Avete avuto un grande spirito nella vostra bella terra di Sicilia, un'anima venuta ad illuminare un pezzo di strada...
    Buon proseguimento, buone vacanze e a presto con i Suoi interessanti articoli.
    Un caro saluto.
    Paola

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    1. Grazie, Paola, e buone vacanze anche a lei.
      Ha proprio ragione. E' stata una grazia avere avuto don Pino Puglisi nella bella terra di Sicilia. Una grazia e, quindi, una responsabilità. Di questo siamo tutti più consapevoli da quando la Chiesa l'ha iscritto nell'elenco dei martiri.

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