martedì 16 agosto 2011

FAMIGLIA E SCUOLA: COLLABORARE DIALOGANDO SULLE CAUSE PIÙ CHE SULLE COLPE

di Sergio Fenizia
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 354, febbraio 2010, pp. 10-11.

L’effettivo inserimento sociale e professionale dei giovani costituisce la cartina al tornasole per verificare cosa e come si è seminato lungo gli anni della prima formazione. Anche chi fosse meno sensibile ai temi educativi potrebbe accorgersi, per esempio, che nell’impatto con il mondo del lavoro emergono in maniera sempre più evidente le carenze di un sistema universitario che a volte appare organizzato prevalentemente in funzione di coloro che vi insegnano piuttosto che in funzione di coloro che vi apprendono.


All’università però, non di rado e, talvolta non senza fondamento, si sente dire che la “colpa” del livello umanamente e culturalmente inadeguato di molti nostri laureati è da attribuire alla scuola secondaria superiore, che “fa acqua da tutte le parti”. Qui, a loro volta, molti docenti allargando le braccia affermano: “Bisogna vedere in quali condizioni ci arrivano gli alunni dalla scuola media: a volte non sono in grado di scrivere frasi di senso compiuto né di eseguire le quattro operazioni! Non sanno studiare e in certi casi neppure leggere”. Alla media (“scuola secondaria di primo grado”) ci si domanda, sconsolati, cosa si possa fare se “la scuola primaria è quello che è”. Ma le maestre e i maestri, dal canto loro, replicano che non possono certo sopperire alle mancanze della scuola dell’infanzia: “Certi alunni (soprattutto i maschi) sono incapaci di ascoltare o addirittura di stare seduti”. Ma nella scuola dell’infanzia non fanno mica miracoli: “Si fa quello che si può: i bambini di oggi sono figli dei genitori di oggi e della tv-baby sitter di oggi”.

Insomma, ogni ciclo scolastico chiama in causa il precedente e tutti insieme, graziosamente, puntano il dito sui genitori assenti, sui genitori che non sanno fare i genitori, sui genitori che accontentano in tutto i figli e così via. Ma i genitori di oggi, frequentemente,  non possono contare su un tessuto sociale degno di questo nome e, quasi sempre, nemmeno su nonni o tate che abbiano qualcosa da trasmettere loro. Quindi, rispetto alle generazioni precedenti, hanno bisogno di un sostegno molto maggiore nell’adempimento del proprio compito educativo. Ma spesso avviene il contrario. Invece di essere coinvolti in un dialogo costruttivo, vengono colpevolizzati e così spinti ad assumere toni difensivi, che si trasformano in aggressivi al momento della consegna delle pagelle o della comunicazione di provvedimenti disciplinari verso i loro innocenti pargoli.
Per essere più efficace, il dialogo tra famiglia e scuola sulla crescita dei figli/alunni andrebbe incentrato sulle cause dei fatti più che sulle colpe delle persone o delle istituzioni. Anzi, sulle concause, che sono numerose e dall’interazione complessa.

Ci si potrebbe domandare per quale motivo la scuola debba valutare gli scolari e non debba in qualche modo essere valutata anch’essa, realizzando ciò che è abituale in qualunque ambito professionale: riflettere sul proprio operato per correggere sistematicamente la rotta, di poco o di molto, a seconda dei casi.

La riflessione sul proprio operato ne presuppone una sulla propria ragion d’essere. I migliori insegnanti, per esempio, sanno bene che se la famiglia esiste da tempi immemorabili, lo stesso non può dirsi della scuola in generale, e tanto meno di quella statale italiana in particolare. Si può dire, anzi, che in un certo senso la scuola esiste (o dovrebbe esistere) in funzione della famiglia. O meglio, in funzione di quel compito educativo che la famiglia è chiamata a svolgere, ma per il quale non sempre è sufficientemente attrezzata. Consapevoli di ciò, gli insegnanti più apprezzati fondano la loro azione di istruzione-educazione su un dialogo costante con le famiglie dei loro allievi. Un dialogo che si articola in modi e tempi molto diversi, a seconda dell’età dei discenti, ma anche dei contesti geografici, sociali, culturali.

In questa prospettiva, sebbene esistano molte altre variabili da considerare, dal punto di vista della collaborazione tra scuola e famiglia, la possibilità di instaurare relazioni meno anonime e più significative sarebbe da favorire tenendo conto che di solito è inversamente proporzionale al numero degli iscritti in un dato istituto.

L’inserimento sociale e professionale più o meno felice non dipende solo dallo studente, né solo dai suoi genitori, né solo dai suoi insegnanti. E nemmeno dipende solo dalle dinamiche che si creano tra loro, perché il modo di essere e di pensare di ciascuno subisce costantemente l’influenza dell’ambiente reale e virtuale nel quale si muove.

Ogni giovane prende la propria vita nelle proprie mani, progressivamente con la maturità che acquisisce. Genitori ed educatori in genere dovranno aiutarlo in questo compito, ciascuno per la sua parte, senza sostituzioni e senza intromissioni.

Ciascuno può compiere degli errori. Tra quelli ai quali sono maggiormente esposti gli insegnanti, si potrebbe indicare l’errore di compiacersi delle prestazioni di studenti che sarebbero bravi anche senza di loro o quello di lamentarsi di certe carenze, le cui cause non hanno indagato o non hanno rimosso.

In entrambi i casi questi insegnanti non hanno adempiuto bene al loro compito, che non consiste nel portare gli alunni a certi livelli, bensì nell’impegnarsi affinché ciascun alunno diventi migliore di quello che è, per quanto possibile.

I programmi scolastici non possono essere una scusa per esimersi dallo “spingere oltre” chi può, o per non condurre attraverso strade alternative e originali coloro che ne hanno bisogno. Facendo eco ad un noto scrittore, ogni studente dovrebbe almeno poter dire: “Dall’ignoranza, dalla mediocrità, dall’indifferenza... quell’insegnante mi ha salvato!”.

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