
di Sergio Fenizia
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 385, settembre
2012, pp. 12-13
Ha gareggiato per quelli della sua generazione. La prima
italiana che nella storia abbia partecipato a (ben) otto Olimpiadi, con una carriera che vanta un oro, due argenti e due
bronzi, per citare solo le medaglie olimpiche, ha dichiarato di «avere
partecipato ai Giochi di Londra 2012
anche per i quarantenni e i cinquantenni di oggi».
Soprattutto, per quelli che «si siedono e pensano di non
potersi più alzare». Ha voluto dimostrare, con i fatti, che «non è mai troppo tardi per sognare, per mettersi
in gioco», e che uno dei segreti per stare bene con sé stessi è quello di «conoscere i propri limiti e cercare di
superarli» ogni giorno. «La mia carriera
è la mia medaglia. Con i suoi due lati, con le vittorie e con le sconfitte.
Anche una sconfitta può essere un successo, se quel risultato è il frutto del
mio massimo impegno».
E il 9 agosto scorso lo ha dimostrato al mondo intero. Josefa Idem, 48 anni il 23 settembre,
ha gareggiato con atlete molto più giovani, piazzandosi al quinto posto, a soli
trenta centesimi dal podio. Era la finale della k1 500 metri (canoa/kayak
sprint, per i non addetti ai lavori). Un quinto posto che non le ha minimamente
tolto il sorriso. Tanto è vero che, subito dopo la gara, la canoista
italotedesca non aveva dubbi: «Sì, la lunga carriera e le numerose medaglie
hanno un valore, ma il significato di tutto questo va cercato nell’impegno
quotidiano». Un impegno, quindi, che può diventare eroico (e ancor più gioioso)
quando porta a farsi carico, con coraggio, anche delle difficoltà che la vita
porta con sé, quelle proprie e – quando si può – quelle altrui.
Ci sembra, questa, una bella prospettiva, che all’inizio dell’anno
scolastico può ricordare a insegnanti e studenti che l’eroicità può passare
dall’applicazione costante agli impegni scolastici. Inoltre, le parole e l’esempio
di questa grande atleta, che è anche sposa e madre, possono dare qualche spunto
a chi è alla ricerca di modelli da proporre o da imitare.

Durante gli anni scolastici, la qualità dell’applicazione quotidiana
ai propri doveri, l’educazione seria del carattere, dell’affettività e
dell’intelligenza, giorno dopo giorno, anno dopo anno, sono fondamenta necessarie.
E se l’ambiente scolastico in cui ci si muove risponde a un vero progetto
educativo, se non è lasciato al caso o affidato alla semplice buona volontà dei
docenti, allora le probabilità di buoni risultati formativi saranno alte.
I cinquantenni di domani sono gli studenti di oggi, che
hanno tra i 3 e i 19 anni. Che hanno famiglie a volte fragili alle spalle. Che
desiderano essere felici, ma forse ancora non sanno che bisogna essere disposti
a sudare, con un sorriso, a 48 anni, su una canoa, sapendo riconoscere senza
drammi che «l’avversaria è stata più forte» e che, come ha dichiarato Sefi,
questa volta, «chi ha vinto il bronzo, evidentemente, ha curato i dettagli
meglio di me».
I dettagli. È la cura dei dettagli, ogni giorno, che procura
una soddisfazione di spessore. Salire sul podio dà una forte emozione, ma i
giovani, atleti o studenti, vanno preparati soprattutto a gustare il piacere di
avere impiegato al meglio le proprie qualità.
Qualunque sia l’esito della competizione, sportiva o scolastica,
si potrà sempre avere il sano orgoglio di avere lottato, conoscendo i propri
limiti e cercando di superarli, o di conviverci nel modo migliore.
In questo senso, si possono educare gli alunni a non mollare,
finché non si è raggiunta la meta (ragionevole) che ci si era prefissi. Sarà
compito di ogni insegnante aiutare ciascun alunno ad avere obiettivi ambiziosi,
ma realistici. A volersi migliorare più che a voler primeggiare. Liberandosi
dal peso di aspettative fuori misura, che quasi sempre sono indotte dall’esterno.
Aspettative che giungono a snaturare la relazione educativa, quasi come avviene
nello sport quando è inquinato dalla piaga del doping.
Quando un genitore coltiva aspettative non adeguate, e si
adopera in modo a volte ossessivo per far crescere le valutazioni scolastiche
dei propri figli, espone questi ultimi (e sé stesso) al rischio di profonde delusioni.
È l’effetto dell’inversione dei termini in gioco. Infatti a crescere dev’essere
il figlio. Le valutazioni saranno la conseguenza (e la riprova).
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Londra 2012. Famiglia al completo |
Ma torniamo a Sefi. Abbiamo apprezzato le parole di Arianna
Ravelli sul Corriere della Sera, «c’è un’immagine che dice tutto. La guardi
andarsene dal bacino di Eton di spalle e pensi che non c’è bisogno di una medaglia
al collo per una bella storia. Josefa Idem se ne va dall’Olimpiade e dallo
sport italiano […] abbracciata a suo marito Guglielmo Guerrini e ai figli […]
ed è un bellissimo modo di andarsene, dopo qualche lacrima e […] la
consapevolezza di aver lasciato un segno. […] Essere donne di 48 anni, essere
madri, mogli, campionesse si può e senza violenze. Non cercando di fermare il
tempo, ma riempiendolo ogni minuto di qualcosa di prezioso».
Le medaglie olimpiche, come i voti scolastici, non sono un
assoluto. Sefi l’ha capito e forse per questo il suo modo di affrontare lo
sport risulta affascinante e può davvero «ispirare una generazione» – secondo lo
slogan coniato dagli organizzatori dei Giochi di Londra –, una generazione di
atleti e di studenti, di insegnanti e di genitori.
Un bellissimo post, che condivido in pieno!
RispondiEliminaE' proprio la perseveranza la strategia giusta, spero sempre in un'inversione di tendenza nella nostra società frettolosa e utilitaristica, dove queste "strategie" sembrano essere dimenticate, con l'esito nefasto di barcamenarsi tra successi effimeri e crescere persone senza spina dorsale.
Sì, è proprio una bella storia. Che racconta di tenacia, di sfida bella, di tensione in alto anche quando l'alto è 'solo' un quinto posto (a 48 anni!).
RispondiEliminaJosefa dice a noi quarantenni e ai nostri figli che per essere aquile vere bisogna spiccare il volo ogni giorno dal cortile delle proprie piccolezze, vivere ad 'alta quota', ricordarsi che vale poco razzolare nel cortile se siamo fatti per guardare in faccia le stelle.
Ben ritrovato Sergio. Maria Rita
Ciao, Monica.
RispondiEliminaGrazie. Condivido certamente la sottolineatura relativa all'abbaglio dei "successi effimeri".
Ciao, Maria Rita.
E’ vero, è proprio una bella storia. Penso di non sbagliarmi nel prevedere che Josefa Idem abbia ancora molto da insegnare (e non mi dispiacerebbe contribuire a farle eco).