di Sergio Fenizia
Pubblicato sul mensile Fogli, n. 380, aprile 2012, pp. 10-11
Fonte: Fogli, 2012, n. 380, p. 10 |
Non siamo tra i fautori della compresenza di più docenti in
aula, come prassi ordinaria. A parte i casi in cui è opportuna per esigenze specifiche,
non sembra necessaria in situazioni ordinarie.
Ciò non significa che non possa offrire dei benefici. E non
solo agli alunni. Anzi, a volte, i principali beneficiari sono proprio gli
adulti, che traggono grande giovamento dall’osservazione del collega (di ciò
che fa bene e di ciò che fa male), e che in quelle circostanze possono anche
monitorare con maggiore calma i propri studenti, non essendo esposti in quel
momento al fuoco incrociato delle loro richieste, dei loro giudizi. Le
attenzioni dei ragazzi, infatti, sono catalizzate dal collega che «conduce» la
lezione.
A tal proposito, riportiamo alcuni spunti tratti da
un’esperienza didattica realizzata in una classe quarta primaria di una città
meridionale. La scuola è in centro, ma l’utenza è variegata: c’è (quasi) di
tutto. Il docente titolare della classe prende posto in fondo all’aula, in un
banco, dietro a un ragazzino dai tratti marcatamente orientali.
È il momento della lezione di latino. La settima dall’inizio
dell’anno scolastico. Molto attesa, ma un po’ faticosa, perché l’intelligenza
dei bambini è sfidata dal primo all’ultimo minuto.
Cicerone |
Latino in quarta primaria? Sì, latino.
Intendiamoci, la conoscenza della lingua di Cicerone e di
Seneca, di Agostino e di Orazio, non è l’obiettivo principale di questa
attività settimanale.
Non è nemmeno una concessione a mode, ricorrenti, per
attirare genitori alla ricerca della scuola più all’avanguardia. Si tratta solo
di un ulteriore strumento, usato con prudenza, per continuare l’educazione
degli alunni: del loro carattere, del loro intelletto, della loro volontà,
della loro affettività.
Il maestro incaricato entra in aula. I bambini sanno di
doversi alzare in piedi, ma pochi se lo ricordano. Gli altri, un po’ per volta,
imitano i compagni più educati. Ma non c’è silenzio. La classe è vivace, sempre
in fermento. Inoltre, i bambini sanno che il «loro» maestro, quello «titolare»,
ha l’abitudine di intervenire il meno possibile quando la lezione è affidata a
un collega. Si sentono quindi un po’ più liberi, e rendono involontariamente
manifesto quanto del loro comportamento è dettato dalla dipendenza dal giudizio
altrui e quanto, invece, è frutto di abiti e convinzioni radicati in
profondità.
Davanti alla classe i maestri si presentano compatti,
concordi. Gli alunni sanno benissimo che tra loro ci sono divergenze di vedute,
ma sanno che queste vengono risolte lontano dalle loro orecchie. E gliene sono
grati, perché è un piacere vederli in così grande sintonia. Ed è anche un aiuto
per fare altrettanto con i propri compagni. Bisogna imparare a dominarsi. E
quell’ora di latino è un supporto anche in questa linea. Dominare la propria
immaginazione, il proprio desiderio di dire, di fare qualcosa che non c’entra
con ciò che si sta facendo in aula. È una vera palestra quest’ora di latino. In
verità anche con le altre discipline la musica è la stessa, ma crescere
attraverso il latino è un privilegio. Inoltre, il maestro ha un carisma
particolare, e anche se lo vedono per una sola ora a settimana, ha un grande
ascendente su di loro.
– Desinenze, casi, declinazioni, coniugazioni… Ma se non
riconoscono nemmeno la funzione logica dei sintagmi in italiano… Ma se non
sanno nemmeno stare seduti come si deve...
È vero. Ed è proprio per tali carenze che qui «sfruttano» il
latino. L’applicazione alla lingua classica, con la maturazione che favorisce,
risulta di grande efficacia. Purché la si studi con intelligenza. Per
sviluppare la riflessione e l’elasticità mentale.
Seneca |
Uno dei primi ad alzarsi in piedi quando entra il maestro, è
il piccolo dagli occhi a mandorla. Del latino, i suoi avi conoscevano
l’esistenza, in quanto lingua ufficiale della Chiesa cattolica, ma nessuno di
loro avrebbe immaginato che un proprio discendente l’avrebbe studiato. I suoi
genitori sono in Italia da prima che lui nascesse. Comprende perfettamente
l’italiano, ma ha qualche difficoltà nella scrittura: frequenti errori di ortografia,
carenze lessicali…
Il maestro è navigato. L’impegno intellettuale, lo fa
desiderare. Non lo impone. Non carica di compiti.
Gli alunni sanno che a casa devono almeno riflettere sugli
appunti presi in aula. Ma non tutti li prendono. E non tutti a casa se lo
ricordano.
All’inizio della seconda lezione i bambini erano rimasti
stupiti: il maestro aveva accolto con sorpresa (ostentata) la notizia che
alcuni non avevano studiato, che altri non avevano portato il quaderno, la
penna… Da allora in poi sono pochissimi quelli che non portano l’occorrente.
Le spiegazioni durano pochi minuti. Sono subito seguite da
una verifica. Lavagna interattiva multimediale, non ce n’è. Ma il carisma,
l’affetto, la serietà del maestro cattura i bambini totalmente.
Spesso si ride. Il piccolo dagli occhi a mandorla pende
dalle sue labbra. A ogni quesito, sfoglia con foga il suo quaderno di appunti
(disordinatissimo! Ma lui ci si raccapezza) e riflette, ragiona, mette in relazione.
E quando ha la risposta sulla punta della lingua, si notano i suoi occhi
scintillanti: avidità di sapere, desiderio viscerale di capire. E quando alza
il braccio per dare la risposta, da piccoli particolari si nota che il suo
obiettivo è di capire se ha capito, e non di fare sapere al maestro che lui
conosce la risposta, che è bravo ecc. È uno degli alunni che apprende con
maggiore rapidità, che comprende con maggiore profondità, grazie alle qualità
umane che in famiglia ha potuto coltivare: rispetto per gli altri, lealtà,
sincerità, capacità di ascolto, riflessività, resistenza allo sforzo, pazienza
nel continuare a cercare, gusto per la verità più che per la soddisfazione
della propria vanità ecc.
Il maestro di latino si avvicina al maestro
«titolare». Si capiscono al volo. Gli sussurra: disgraziati, disgraziati quelli
che hanno tolto il latino ai poveri!
Bravo il maestro di latino, che coniuga didattica e umanità e bello l'esperimento di introdurre il latino alla scuola primaria, perchè lo vivono come qualcosa di naturale, appartenente a loro come la lingua madre.
RispondiEliminaIo l'ho studiato al liceo, sono contenta di averlo fatto, ma confesso che non mi piaceva particolarmente e qualche volta ho pensato che fosse una fatica fine a se stessa. Leggendo l'articolo mi chiedevo se questa contrapposizione nei confronti del latino potesse dipendere dai "disgraziati che hanno tolto il latino ai poveri".
Oggi assisto a ragazzi di terza media che, nella scelta della scuola, sono affascinati dal liceo, ma rigorosamente uno senza latino! E non so se posso definirlo un passo avanti...
Grazie, Monica.
RispondiEliminaSì, questo maestro è proprio bravo! Riesce a farsi seguire da alunni di tutte le età e di tutte le capacità. Anche studenti che in altre circostanze non si applicano, si lasciano conquistare da lui (o almeno si lasciano trascinare dall’esempio dei loro compagni che lo seguono).
Concordo con te sul fatto che la diffidenza verso lo studio del Latino non possa considerarsi un passo avanti. La ritengo una delle conseguenze del fatto che la scuola negli ultimi decenni è diventata più facile, ma meno efficace. Di fatto, si è abbassato il livello di/per tutti. E i più danneggiati sono proprio i ragazzi delle fasce meno abbienti.
Sono comunque fiducioso per il futuro, perché tra gli insegnanti italiani si stanno diffondendo sempre di più pratiche educative che si ispirano all’Educazione personalizzata ideata da García Hoz, tutta orientata a promuovere in ciascun alunno la particolare eccellenza personale di cui è capace.
Da questo punto di vista, ritengo che le scuole del circuito Faes (che applicano l’educazione personalizzata da oltre quarant’anni) siano un importante punto di riferimento.
Che bella quest'esperienza!
RispondiEliminaL'ho letta tutta d'un fiato, come docente che pur per passione insegna storia dell'arte, ma partita dal latino... e come mamma. Ho due bambini, ci siamo adottati (come ho avuto modo di raccontare su altri blog) cinque anni fa, porto la mia esperienza un po' ovunque ormai. I miei bambini parlavano russo, e il più grande ora fa la seconda media. Il piccolo ha avuto tempo con la scuola dell'infanzia, ma il grande che già frequentava la seconda elementare ha faticato non poco nel passaggio dal russo all'italiano, per ovvie (troppe) differenze linguistiche. Ha cominciato l'inglese appena ha preso a frequentare qui in Italia, poi alla scuola media pure la seconda lingua, passando così in poco tempo dal russo, all'italiano, all'inglese, allo spagnolo. Con la scuola non ha mai avuto problemi... ma ha sempre faticato, devo dire ripagato poi dall'impegno, per raggiungere la sufficienza nella grammatica. E non solo per un alfabeto completamente diverso. I bimbi di madrelingua russa faticano a comprendere le doppie... e i sostantivi femminili. Per mio figlio all'inizio cappello era uguale a capello (ancora adesso, che sa come si scrive, a tavola dice 'buon apetito'!), ci siamo dovuti inventare mille filastrocche sulle doppie, per non parlare poi delle 'finestri', le 'nuvoli', le 'calzi'... e così via! Le maestre della primaria sono state eccezionali. Ma mio figlio è tornato proprio l'altro giorno da scuola coi lacrimoni perche la sua docente d'italiano (che fa pure latino) ha portato le verifiche di grammatica e lui aveva preso 9, dopo un bel percorso quest'anno (dal momento che in prima media non aveva nemmeno 5). Ne abbiamo discusso un po' tutti. Mio figlio ha raggiunto certi risultati (lasciamo che è un bambino che solo adesso fa meno fatica nell'impegno) perchè, ora e solo ora, è riuscito ad entrare nel cuore della lingua, nel meccanismo dell'italiano, da quando (quest'anno) ha cominciato pure il latino. Declinare i casi, accostarli ai complementi, relazionare i verbi ai sostantivi. Per lui adesso è come matematica, ha capito il meccanismo di correlazione tra il latino e l'italiano. E siccome il latino è reso a mo' di gioco... la grammatica italiana ne ha giovato. Fino all'anno scorso pensavo che sarebbe stato 'naturale' per lui un percorso senza altre 'aggiunte linguistiche' per non aggravare il peso dell'apprendimento, e quindi semmai avesse in futuro optato per un liceo... sarebbe stato un liceo senza latino. Quando si è optato per il latino a scuola media, il gioco si è trasformato in una grossa opportunità, una potenzialità della quale ora siamo veramente soddisfatti, perchè intanto ci ha fatto capire che i bambini hanno risorse davvero nascoste... e affermare con maggiore certezza poi che le lingue antiche (al latino per 'deformazione' devo aggiungere anche il greco) non sono affatto lingue morte, ma talmente vive che riescono a dare impulso alla conoscenza, al gusto di imparare, alla logica.
E' quando poi il latino oltre che grammatica si fa poesia, accostata alla poesia più contemporanea, che si fa pensiero, accostato all'attualità, che vedo mio figlio sgranare gli occhi come se avesse fatto la scoperta più grande della storia. La sua, quella più personale che lo sta facendo crescere.
Un abbraccio: Maria Rita
Maria Rita, ti ringrazio di questo commento così ricco di vita vissuta.
RispondiEliminaSarà utile anche ad altri. Certamente lo sarà per la mia attività di insegnante: nella scuola in cui lavoro ci sono vari alunni provenienti dai Paesi dell’Est, che vivono situazioni analoghe a quelle hai descritto.
Un caro saluto e in bocca al lupo per i tuoi figli.
Grazie anche a te Sergio. Maria Rita
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